> Uccidiamo i giovani

Uccidiamo i giovani Uccidiamo i giovani

Non perché se lo meritano, ma perché è necessario. 

E a farlo non servono degli addetti, ci pensano loro da soli.

E questo fa già piangere. Vederli, mentre si sporgono oltre il precipizio delle loro età, della loro serenità immeritata, mentre già dicono “quando ero..”, “quando facevo…”, “allora potevo”… 

Non sei più giovane, è ora che qualcuno te lo dica. Sei cresciuto, ne è segno il fatto che hai dei ricordi. 

In generale sulla questione è difficile esprimersi in termini moderati: i vecchi dovrebbero vivere separati dai giovani. A forza di convivere, i vecchi sono diventati un modello da imitare. Ma non sono persone originali, i giovani, se tutto quello che hanno da fare è invecchiare. 

Si comincia misurando la propria felicità con un curriculum. Si studia, si suda. E poi, a trent’anni, prendi sonno. Un diabolico abbiocco ti chiude gli occhi. Sei già dei loro.

Non c’è da allarmarsi, rientra tutto in un disegno perfetto: non lo dicono, ma tutti attorno a te segretamente pianificano di invecchiare, sognano vite sessantenni.

L’età giovane così si converte in buono pasto per le dentiere affamate della terza età. Niente più che un ricordo buffo, un gadget in omaggio alla vecchiaia. I giovani sono un concetto giornalistico, chi ancora lo è, vive questa età come musical, un lacrimoso teen drama da gabinetto. 

Dietro al ventenne, preme già il riposo. Da che si desiderava ardentemente l’eroismo, ora si prega per l’erosione. Anche io sto cambiando, empatizzo con le muffe. Ho guardato dentro di me e ho scoperto un centro anziani. I miei amici non li trovo più. Già socializzano con i loro futuri compagni di parrocchia. 

Sclerosato e sciancato, bavoso e tripede dovrei anche io aggregarmi?

Il mio sogno di felicità appaltato a una stabilità economica, a tre/quattro metri quadri che mi garantiscano riproduzione e feci, che gioia. 

Così ogni sera, dopo un paio di coiti sognanti sul divano comprato a rate, aggrapparsi al cuscino e sperare di non precipitare in un inconscio verminoso di incubi e rimorsi. Un sogno da carcasse. 

Siamo costretti a invecchiare in anticipo, protestando per cose disprezzabili, ora richieste come il pane. Noi vogliamo casa, lavoro, famiglia. Cose legittime, per carità, ma di una tristezza senza fine. Cose che vanno garantite, per permettere di non essere desiderate.  

E questa è la peggiore cosa che ci hanno fatto: condannarci al moralismo. 

Oggi si invecchia troppo in fretta, il feto al quarto mese fa muschio e già si sente pensionabile. 

Vi saluto, giovani di ieri. Dio non muove un passo per voi. E fa bene. 

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